Il tumore è stato scoperto per caso, nel 2001 all’età di 16 anni dopo un incidente in bicicletta. Adesso, dopo vent’anni esatti, Eduard Moescu realizzerà il sogno della vita, le paralimpiadi a Tokyo nel paraciclismo. Gareggerà per la Romania, nonostante sia in Italia da 18 anni. Cavilli della burocrazia.

Il suo è un miracolo sia sportivo sia personale. Nato nel 1985 in Romania, sempre grandissimo appassionato di pedali e sellino, durante le visite dopo una caduta gli è stato trovato un fibrosarcoma al femore destro. Per questo motivo è stato amputato di emipelvectomia: via, per sempre, tutto il femore e la gamba destra. Poi l’arrivo in Italia, a Vigevano, il lavoro nella logistica di un multinazionale di videogiochi, una vita normale con sempre lei sullo sfondo, la passione per la bicicletta. Eduard Moescu nel 2014 è entrato a far parte del Team Equa; da lì in poi questa squadra lo avrebbe accompagnato nel percorso atletico che lo ha poi portato a diventare un campione (risale al 2019 la vittoria del titolo rumeno), compresa la presenza nei mondiali 2015 sempre vestendo i colori della Romania, nella categoria Paracycling C2.

“L’emozione – rivela Eduard Moescu – è quella di chi ha combattuto tanto, e si è tolto tante soddisfazioni nonostante le difficoltà, gli incidenti, il dolore. Il livello delle olimpiadi sarà altissimo: realisticamente so di dover combattere e di non essere il più forte. Ma è l’occasione della vita. Pedalerò fino al traguardo”.

I miracoli sportivi, si sa, esistono, forse anche più incredibili di questo. Il denominatore comune è la determinazione. La voglia di rialzarsi, di pensare che niente sia davvero finito anche dopo il dramma dell’amputazione, di quando si pensa che la propria passione possa essere distrutta per sempre, e forse anche la vita stessa. Non è stato così: l’aereo per Toyko è già prenotato, e da lì sarà solo competizione, agonismo e un pizzico di fortuna. “So che il livello sarà altissimo”, dice l’atleta. Ma lui ce la metterà tutta. Il merito di questa ascesa è anche di un’ortopedia d’eccellenza di Vigevano, il secondo centro della provincia di Pavia dopo il capoluogo. L’ortopedia Alfonsi è anche sede di tirocinio per la facoltà di tecniche ortopediche dell’università di Pavia, e collabora con la società scientifica Aipto (Associazione Italiana Professione Tecnico Ortopedica) per la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie.

L’ortopedia, nata dall’intuizione di Pietro Alfonsi, ha aperto il primo punto vendita come ortopedia e sanitaria agli inizi degli anni Ottanta. Ben presto si è trasformato in officina ortopedica. Nel corso degli anni l’azienda si è specializzata nella progettazione e produzione di calzature e plantari su misura (soprattutto per patologie quali piede diabetico, artrite reumatoide, e qualsiasi tipo di amputazione e malformazione), fino ad arrivare alla specializzazione e alle certificazioni per l’applicazione di protesi e ginocchia elettroniche. “Il filo conduttore della crescita – dice Iolanda Alfonsi, attuale titolare con il fratello Pasquale, tecnico ortopedico responsabile della parte protesica – è la volontà di comprendere e interpretare i bisogni dei nostri pazienti e trasformarli in strumenti tecnologicamente avanzati, capaci di accompagnarli nella quotidianità con affidabilità e sicurezza. Per questo ci siamo messi a disposizione per la divulgazione di quanto siamo riusciti a fare, attraverso eventi che permettono ad operatori e non solo, di comprendere il mondo protesico, le tecnologie oggi sul mercato e offrire un confronto diretto con personaggi che hanno trasformato una tragedia in una grande opportunità di rivalsa”. Alcuni nomi: Emiliano Malagoli, presidente della onlus “Di.Di. Diversamente Disabili”, motociclista disabile, pilota motociclismo paralimpico. Roberto Bruzzone, che “scala montagne con una gamba in meno”. E poi l’organizzazione, due anni fa, del torneo nazionale Città di Vigevano di tennis in carrozzina.

Lo sport abbatte le barriere, include e avvicina le persone, mette in discussione i propri limiti permettendo di superarli, trasforma quella che può sembrare una tragedia in un’opportunità di rinascita. Come la storia di Eduard Moescu, campione nazionale rumeno nel 2019 e un curriculum lungo così. Eppure vent’anni fa le speranze sembravano perse. Invece ora non solo pedala, ma lo fa all’ombra della fiaccola e dei cinque cerchi olimpici, quelli della fratellanza universale, quelli che uniscono il mondo, il sole, le altre stelle, tutti.